U Pitirri è una ricetta siciliana della tradizione. Nasce tra le province di Caltanissetta e Agrigento, soprattutto nei pressi delle aree solfifere. Si tratta di una preparazione povera, una minestra preparata con farina di semola di grano duro e finocchietto selvatico. Ingredienti poveri, dunque, ma che riescono a conferire molto gusto. A rendere particolare questa ricetta è il fatto che venga tramandata da due sorelle gemelle, nate nel 1935 a San Biagio Platani: Angela e Calogera. Potremmo definire U Pitirri come una specie di polenta. La farina di semola di grano duro e i finocchietti si buttano in acqua e sale e si mescolano lentamente, fino a creare una crema. Il tutto, poi, si fa saltare in padella, con un soffritto di olio e cipolla bianca. Lo stesso piatto, a Sant’Angelo Muxaro, si chiama “arriminata“. Il risultato finale è un po’ granuloso. Nel tempo, si sono aggiunte diverse varianti, che includono verdure di stagione e, in alcuni casi, anche le uova.
A spiegare l’origine del nome U Pitirri, è il professor Giovanni Ruffino: “u pitirri è legato a uno strato solfifero, infatti, è un piatto diffuso nella Sicilia centrale dove sono presenti le miniere di zolfo”. A quanto pare, la ricetta di rifà all’antica tradizione del farro di retaggio romano. Fatima Giallombardo, nel suo libro “La tavola, l’altare e la strada, Scenari del cibo in Sicilia”, scrive: “trattandosi di una minestra povera si rifà alla tradizione del farro di retaggio romano. Probabilmente è stato importato dall’Africa proprio in epoca romana. È una semola, come il cous cous, ma diversamente da esso è cotta insieme al condimento e, comunque, è precedente da un punto di vista storico e non ha un trattamento di tipo arabo”.
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