Non sempre ciò che appare è ciò che è. Dalla tavola… alla musica! L’elegante oggetto che vi presentiamo che a prima vista sembrerebbe un cucchiaio, in realtà altro non è che un plettro di avorio, piccolo arnese utilizzato per far vibrare le corde di antichi strumenti musicali, come la lira o la cetra, alla base dei quali veniva probabilmente legato con una stringa. L’uso del plektron (termine greco derivato dal verbo plesso, percuotere), è noto da tempi lontanissimi, sin dalla tarda Età del Bronzo, nel Vicino Oriente e in Grecia; impiegato per l’emissione dei suoni gravi, poteva essere, oltre che di avorio, di bronzo, corno, osso, legno. Gli antichi scrittori greci ne fanno risalire l’origine al dio Hermes, al quale si deve l’invenzione della lira, attributo peraltro del dio Apollo, che per suonarla pare possedesse un plettro d’oro.
Differente rispetto agli esemplari moderni, di minori dimensioni e flessibili, il nostro plettro appartiene a una tipologia nota in Etruria, riferibile ad età tardo-classica o ellenistica (IV sec. a.C.), a cavità ovale e manico curvilineo decorato con palmetta all’estremità. Tale forma conferma la posizione che il suonatore assume in tante rappresentazioni antiche, pittoriche e scultoree, con il braccio in fuori e l’intera mano, flessa al polso e inclinata verso l’interno, impegnata nel pizzicare le corde.
In esposizione alla mostra "Gli Etruschi a Palermo" fino al 31 gennaio al "Real Albergo dei Poveri"
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