C’è un gigante addormentato tra i fondali di Calabria e Sicilia ma non è un mostro marino come Scilla e Cariddi della leggenda, per quanto sempre di una sorta di mostro si tratti: è il Vulcano Marsili.
Otto anni di analisi, un team di esperti provenienti dall’Istituto per l’ambiente marino costiero del CNR di Napoli e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, per scoprire che sotto il nostro mar Tirreno giace uno dei più spaventosi rilievi del mondo: un vulcano addormentato.
Il Marsili è il più grande vulcano sottomarino d’Europa: con i suoi 70 chilometri di lunghezza per 30 di larghezza, e una profondità di appena tre chilometri e mezzo sotto il livello del mare.
Lo studio del CNR portato avanti grazie ai rilevamenti effettuati a bordo della nave oceanica “Universitatis”, ha consentito di conoscere lo stato di quiescenza del noto gigante.
A differenza dell’ipotesi più diffusa nella comunità scientifica, Marsili non è inattivo bensì addormentato. Non sono state rilevate tracce di attività eruttive, ma come avevano confermato a suo tempo alcuni fenomeni idrotermali e i risultati delle scosse di terremoto registrate nell’area circostante, si è scoperto che il vulcano subacqueo non è affatto spento; ha infatti in sé tutta la capacità eruttiva disponibile, e il suo cratere principale si trova a soli 500 metri dal pelo dell’acqua.
I risultati in particolare, attraverso le analisi effettuate con il metodo del Carbonio 14, hanno portato alla luce due diversi tipi di ceneri vulcaniche; dallo spessore e dai contenuti fossili rilevati, è stato possibile risalire alle ultime eruzioni del Marsili, datate intorno ai 3.000 e ai 5.000 anni fa.
Quello che tiene in allerta i geologi, non è tanto la possibilità di una nuova eruzione, che nel caso del vulcano in questione sarebbe di tipo esplosivo, come già appurato per Stromboli e il Vesuvio, quanto il fatto che gli edifici dei vulcani sottomarini si rivelano molto spesso instabili, a causa dell’azione dell’acqua, sia sui rilievi rocciosi che a contatto con i caldi fluidi interni.
Una reazione che si tradurrebbe quindi, molto probabilmente, in un pericolosissimo quanto grave maremoto, che in ogni caso non si potrebbe prevedere con esattezza, se non a poche ore, al massimo pochi giorni, dal suo approssimarsi.
Ora non resta dunque che scegliere gli strumenti giusti per monitorare il gigante buono che riposa nel mar Tirreno, così come successe a suo tempo con il Vesuvio, la cui ultima eruzione risale solo a 70 anni fa.
Il vero problema quindi, sarà quello di poter garantire una più completa quanto efficace evacuazione dei territori definiti ‘a rischio’.
Nel caso della provincia di Napoli, sono state recentemente ridefinite le aree da evacuare, e nel piano di emergenza previsto c’è chi ha pensato anche di mettere appunto un’iniziativa di gemellaggio tra i 25 comuni più minacciati dal vulcano e le provincie e le regioni che saranno disposte ad accogliere le popolazioni sfollate.
Così come Pompei fu distrutta nel 79 d.C. da un’eruzione del Vesuvio, allo stesso modo si presume che Marsili possa aver spazzato via intere città e villaggi del litorale tirrenico.
Ma non è l’unico vulcano a preoccupare i geologi; sotto lo stesso fondale marino dimorano anche altri vulcani meno noti: come il Vavilov e il Magnaghi, posto a 220 chilometri a sud-est di Napoli.
E poi Palinuro, Alcione e gli apparati gemelli dei Lametini, sempre di fronte alla costa campana; Eolo, alto 900 metri, sorge invece accanto ad Enarete, a Ovest dell’isola di Alicudi. Per non parlare poi di Glabro, a 100 metri sotto il livello del mar Tirreno, o dell’isola Ferdinandea: emersa nel 1831 al largo della città di Sciacca, sprofondata qualche giorno dopo al di sotto delle acque del Canale di Sicilia.