PALERMO (scritto da Silvio D’Auria) – Un operaio con uno yacht di oltre 3 milioni di euro, una barista proprietaria di un aereo da 8 posti che ne vale 12, un anziano di 90 anni titolare di un veliero da 4 milioni, un bracciante agricolo in debito con il fisco per 10 milioni di euro. Soggetti a reddito zero diventati improvvisamente ricchi. Questi alcuni dei numeri messi in luce dopo la stima sull’evasione fiscale nell’isola pari a un miliardo di euro che, se recuperato, farebbe salire il Prodotto Interno Lordo della Sicilia dell'1,5%. E’ questo il quadro emerso da una operazione mirata alla ricerca di grandi patrimoni e finalizzata al calcolo dell’evasione fiscale nell’isola. Nell’elenco, finito in un dossier trasmesso alla magistratura, ci sono anche nomi eccellenti.
Da una complessa attività ispettiva resa possibile grazie alla collaborazione tra Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate e Agenzia di Riscossione Sicilia, i cui dati sono stati diffusi oggi, saltano fuori nomi e cifre di chi in Sicilia gode di un reddito superiore a 500 mila euro dei quali solo il 3,6% è in regola secondo quanto previsto dalle norme sull’imposizione tributaria. 800 in tutto sono i grandi evasori, scoperti molti soggetti a reddito zero diventati in pochissimo tempo ricchi, ricchissimi. Stimata in un miliardo di euro l’evasione oggetto di un esposto alla magistratura. Sotto la lente d’ingrandimento dell’ispezione sono finiti yacht, numerosi immobili di elevato valore catastale, grandi aziende, lussuose autovetture, residence e alberghi di proprietà di siciliani che dichiarano in molti casi “reddito zero”. Recuperato il miliardo, il Pil della Sicilia registrerebbe un aumento pari all’1,5% capace da solo a garantire il reddito di cittadinanza a tutti i disoccupati siciliani e a incrementare i “fondi sviluppo”.
Un corposo fascicolo ispettivo composto da centinaia di atti. Nei dati risultano esserci, tra i tanti, quelli di un operaio stagionale di Palermo titolare di uno yacht da oltre 3 milioni di euro, di una barista residente nel capoluogo etneo proprietaria di un aereo da 12 milioni, di un 90enne di Trapani a cui è intestata una barca a vela da 4 milioni e quelli di bracciante agricolo di Enna che deve al fisco 10 milioni di euro tondi, tondi. “Nessun allarme sociale – rassicurano dagli uffici di Riscossione Sicilia – vogliamo imporre ad un gruppo di furbi, che ruba alla Sicilia un miliardo di euro all’anno, di pagare quanto da loro dovuto al fisco”.
Ma c’è di più. Ciò che emerge non è solo l’evasione ma anche il riciclaggio di denaro. Nelle cifre sull’evasione ai fini del riciclaggio, i settori maggiormente interessati dai controlli incrociati sono quelli del settore ortofrutticolo ed ittico, dello smaltimento rifiuti, dei trasporti e delle onoranze funebri spesso sotto diretto controllo dalla criminalità organizzata siciliana. Non mancano nomi “eccellenti” che potrebbero essere resi pubblici dall’autorità giudiziaria già nelle prossime settimane dopo che le procure competenti per territorio inizieranno ad indagare sui reati relativi all’evasione, mentre da Riscossione Sicilia assicurano la nascita dell’ufficio “Grandi evasori”. Quindi la Sicilia come un vero e proprio paradiso fiscale dopo gli incroci di migliaia di dati rilevati dai registri e dai data base di diversi Enti pubblici. Come quello Navale e del Catasto che hanno permesso di verificare se i proprietari di grandi beni di lusso fossero regola con il fisco e gli importi effettivamente resi alla casse dell’erario.
Equitalia su scala nazionale stima un recupero pari al 25% dell’evasione accertata, mentre Riscossione Sicilia spera si possa arrivare al 20% per un recupero totale di 200 milioni di euro che si tradurrebbe in risorse da destinare agli ammortizzatori sociali, al reddito di cittadinanza, alle imprese e agli interventi a favore delle famiglie meno abbienti. La più alta percentuale di soggetti, scoperti essere proprietari di beni di lusso, ma per il fisco ufficialmente a reddito minimo o addirittura nullatenenti, sono domiciliati nelle province di Palermo e Trapani. Il meccanismo è sempre lo stesso: prestanomi (c.d. “teste di legno”) che versano allo Stato il minimo dovuto. E in tanti casi nulla, anche se poi subiscono condanna in sede penale alla fine della fiera non pagano nemmeno un centesimo. (Sil.Dau)